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Plaxtech, realtà udinese impegnata nella costruzione di macchinari nell’ambito dello stampaggio plastico ecosostenibile, si presenta ad Ecomondo 2010 con un sistema “dalla culla alla culla”, a ciclo chiuso e impatto zero, in grado di ottenere green products da plastiche eterogenee da riciclo pre e post-consumo, e con un innovativo macchinario –Roteax- in grado di operare questo ecoprocesso. Il green process di Plaxtech consente la produzione di manufatti verdi a partire da un ecoremix certificato UNI 10667-16 proveniente dal riutilizzo come materia prima seconda di plastiche eterogenee da riciclo. Il processo è a ciclo chiuso, ossia si svolge senza impiego di materie prime vergini –il prodotto è infatti reimmesso a fine vita nel circuito produttivo-, senza emissioni di gas serra e con consumi di energia ridotti di 2/3 rispetto alla produzione tradizionale: ciò avviene grazie all’altissima versatilità e produttività di Roteax, impianto operante con la prima tecnologia collaudata per lo stampaggio ad iniezione a bassissima pressione, in grado di produrre quattro manufatti diversi per peso e forma contemporaneamente e di impiegare la stessa energia di un macchinario tradizionale per realizzare un numero di manufatti da 15/20 kg tre volte superiore (60/90 battute/ora contro le 30 canoniche). Il sistema Plaxtech e Roteax sono una risposta alla difficoltà dei riciclatori di recuperare plastiche eterogenee o multicomposite, alla necessità delle aziende di ridurre i consumi energetici e il relativo impatto sui costi di produzione, di restare competitive e di aprirsi nuovi spazi di mercato. Con il sistema Plaxtech, le imprese possono infatti riconvertire la propria produzione in produzione verde ed affrontare il promettente mercato dei green products e del Green Public Procurement –un mercato in costante espansione di cui si stima una crescita a livello europeo del 104% entro il 2015, per un business da 114 miliardi di euro. Plaxtech sarà presente ad Ecomondo 2010 al padiglione B1, stand 169 e parteciperà con Roteax a Sinnova, la mostra conservativa dell’ambiente e al Premio per lo Sviluppo Sostenibile che premierà le migliori innovazioni ambientali che abbiano superato la fase pilota e possano già presentarsi al mercato come proposte concrete.

 

Plastica verde dalla culla alla culla

 

FONTE: Il Sole 24 ore NordEst – Speciale Eventi

Salvaguardare l’ambiente garantendo il massimo livello di produttività e competitività: obiettivi raggiunti da Plaxtech, realtà udinese operante nella produzione di innovativi macchinari per la trasformazione di materie plastiche, che porta oggi una vera e propria green revolution nella sfera dello stampagio plastico. Una ‘rivoluzione verde’ basata su green technology, green process e green products che passa da Roteax, impianto hi-tech che consente la realizzazione di prodotti verdi ecocompatibili attraverso un processo di stampaggio ecosostenibile a ciclo chiuso. Il sistema Plaxtech è il primo ed unico, a livello internazionale, a consentire con green process il riutilizzo di plastiche eterogenee a base poliolefinica da riciclo -l’80% dei rifiuti plastici provenienti dalla raccolta differenziata- e di processarli in un eco-remix certificato a norma UNI 10667-16, realizzando ‘prodotti verdi’ ecocompatibili che trovano impiego nei più vari settori, come quello della logistica, edile, dell’arredo urbano o del giardinaggio. I prodotti, a fine vita, vengono reimmessi nel processo: ‘riciclando il prodotto già riciclato’, senza costi aggiuntivi, si genera un ciclo chiuso che non utilizza materie prime vergini, non produce rifiuti né emissioni di CO2 e gas serra ed ha bassissimo impatto a livello di consumo energetico. Grazie alla green technology sviluppata da Plaxtech, l’aspetto dell’ecosostenibilità, che per molte aziende ha finora rappresentato un vincolo alla produzione, non solo non incide negativamente sui costi, ma addirittura li abbatte del 50%: l’elevata produttività dell’impianto Roteax, in grado di operare un numero di cicli di stampaggio (60-90 cicli per manufatto di 15 kg) tre volte superiore a quello dei macchinari tradizionali e di produrre contemporaneamente quattro manufatti diversi per peso e forma, dimezza di fatto l’incidenza per unità di prodotto dell’energia, della manodopera e degli ammortamenti.

Il Sole 24 Ore

La ‘svolta verde’ che le aziende operanti nel riciclo e nello stampaggio plastico vorranno imprimere attraverso Roteax sarà assolutamente premiante: i prodotti ottenuti con il sistema Plaxtech, dalle ottime qualità strutturali, sono in grado di penetrare un mercato da 1 miliardo di euro in rapida espansione, quello della Green Economy. Il Green Public Procurement impegna infatti la Pubblica Amministrazione e le società a prevalente capitale pubblico a coprire il proprio fabbisogno annuale di manufatti con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato in misura non inferiore al 30% e l’Europa incoraggia l’adozione di tecnologie innovative ed ecosostenibili, quali la green technology di Plaxtech, con significativi finanziamenti.

 

FONTE: Il Sole 24 ore NordEst – Speciale Eventi | Sistema ambiente & ecologia

In un mercato globale dove la revisione dei dazi espone le PMI al confronto con competitors di ogni Paese, spesso in grado di vincere sulla base di minori costi di produzione, l’unica scelta per le imprese di conquistarsi spazi vitali è investire in innovazione di prodotto. Ancor più fondamentale è però l’innovazione di sistema, ossia l’individuare nuovi modelli produttivi basati su efficienza, efficacia, creatività e competitività che tengano debitamente conto delle nuove regole del mercato globale: questo il primo passo che le PMI devono compiere per essere poi in grado di procedere all’innovazione tecnologica e di prodotto. A sostenerlo è Plaxtech srl, azienda udinese costruttrice di evoluti macchinari per la trasformazione hi-tech e low-cost delle materie plastiche, che propone alle aziende nel settore dello stampaggio e riciclaggio plastico un nuovo modo di “fare sistema” in grado di liberare risorse da destinare all’innovazione di prodotto. L’innovazione di sistema lanciata da Plaxtech è un “network produttivo” che aggrega le aziende attorno a Roteax, macchinario di stampaggio hi-tech ad altissima produttività e flessibilità. Le singole imprese, anziché sostenere per intero la spesa del macchinario, pianificano l’acquisto di un preciso numero di battute-stampa della quota annuale di produzione programmata per Roteax: la Plaxtech srl, coordinando ed ottimizzando le attività di prenotazione, al raggiungimento della “massa critica” realizzerà il macchinario per le aziende così consorziate. Le spese di ammortamento dell’impianto, sostenute dall’aziende solo in base alla quota di battute-stampa acquisite, sono in questo modo ridotte al minimo, e con esse il rischio finanziario.

Network produttivo: l'innovazione di sistema che crea nuovo valore economico alle imprese 4

Ciò si traduce in risparmio di risorse che l’azienda può investire nell’innovazione di prodotto necessaria ad affrontare i mercati emergenti. Questo “open network”, pensato per poli di aggregazione a livello locale, si basa sulla completa commercializzabilità delle quote e renderà possibile, a seconda delle esigenze di mercato, lo scambio degli stampi tra poli diversi, realizzando una filiera corta che azzeri sprechi e costi di movimentazione merci.

Tutto grazie all’altissima flessibilità di Roteax, in grado di stampare contemporanamente ben 4 manufatti diversi fra loro per peso e forma, triplicando la produttività e dimezzando i costi di processo. Il sistema di produzione condivisa per quote proposto da Plaxtech ha riscosso l’entusiasmo di stampatori e riciclatori, tanto che, a poco più di un mese dal lancio di Roteax, la prima iniziativa industriale è già in fase di decollo.

 

FONTE: Il Sole 24 ore NordEst – Eventi | Innovazione Tecnologica

Dal 6 al 18% e dal 10 al 40%: tanto incidono i costi di logistica e trasporto sul fatturato complessivo d’impresa e sul costo finale di prodotto. Percentuali che orientano direttamente le scelte aziendali legate alla movimentazione merci verso soluzioni economiche, ma non necessariamente convenienti: l’onnipresente pallet in legno, ad esempio, ha vita difficile nel trasporto di generi alimentari, per il quale deve essere sottoposto al trattamento di fumigazione previsto dalle norme Ispm 15. L’alternativa c’è, ed è il pallet in plastica: igienico, resistente, durevole, sicuro; una scelta però inibita dal costo, esattamente doppio rispetto al bancale in legno. Proibitivo, ma solo fino ad oggi: Plaxtech, realtà udinese operante nel settore delle macchine per la trasformazione plastica low-cost, consente infatti di produrre pallet in plastica sostanzialmente allo stesso prezzo del bancale in legno. Come si spiega questo risultato? “Innovazione tecnologica ed efficienza produttiva sono la nostra combinazione vincente – spiega l’ad. di Plaxtech Matteo Strizzolo – che abbiamo coniugato in Roteax”, un impianto in grado di trasformare per iniezione a bassa pressione materie plastiche eterogenee in manufatti ecocompatibili e rispondenti a tutte le normative tecniche di settore, caratterizzato da elevatissima produttività: effettua infatti, per articoli da 15 kg, un numero di cicli (da 60 a 90) tre volte superiore ai macchinari tradizionali, e stampa contemporaneamente quattro manufatti diversi tra loro per peso e forma, abbattendo del 60% i tempi di produzione e dimezzando i costi di energia, manodopera ed ammortamento. La costruzione di macchinari per pallet di plastica è il cavallo di battaglia di Plaxtech, testato nei tre anni di collaudo industriale di Roteax con ottimi risultati presso i clienti. Il pallet realizzato con questa tecnolgia è stato infatti scelto da grandi aziende per le ottime prestazioni in termini di resistenza, igiene, leggerezza, durata e non ultimo di sicurezza. E sulla sicurezza – si pensi ai carichi sospesi – il pallet in plastica realizzato con i macchinari Plaxtech compete con quello in legno, e non solo nel settore agroalimentare: potrebbe anzi sostituirsi ad esso in toto anche in virtù del fatto che non presenta problemi di smaltimento, poiché il prodotto, a fine vita, è riutilizzabile all’interno dello stesso processo e costituisce quindi valore aggiunto.“Logistica low cost–ricorda Strizzolo – non è solo pallet, ma anche imballaggi, contenitori, bins: le possibilità di realizzare articoli di qualità a basso prezzo per la logistica con Roteax sono aperte a 360°”.

Il Sole 24 Ore

FONTE: Il Sole 24 ore NordEst – Speciale Eventi | Trasporti e Logistica

Una nuova cultura di aggregazione: per Plaxtech questa è la chiave per affrontare la difficile congiuntura economica.

Con il credit crunch le imprese, registrando spesso un andamento negativo nell’attività economica, vedono i bilanci peggiorare e la possibilità di avere accesso al credito allontanarsi sempre più.
Come allora investire in innovazione, l’unica arma contro la crisi? Secondo Plaxtech, realtà udinese che opera nel settore dei macchinari per la trasformazione plastica low-cost, esiste un modo per spezzare il circolo e “liberare” il potenziale innovativo delle imprese. L’azienda ha infatti lanciato nei giorni scorsi sul mercato Roteax, un impianto destinato a rivoluzionare il settore dello stampaggio plastico in grado di raddoppiare la produttività abbattendo drasticamente i costi industriali; un macchinario ad altissima produttività e flessibilità che consente di stampare contemporaneamente quattro manufatti diversi fra loro per peso e forma.

Italia Leader del Riciclo

Bello e impossibile? “Assolutamente no – spiega l’Ad di Plaxtech Matteo Strizzolo – infatti non solo offriamo alle azienda la possibilità di ottenere il macchinario a finanziamento agevolato, ma abbiamo anche pensato ad un sistema che consente alle piccole aziende di utilizzare l’impianto senza accollarsene integralmente il costo: la nostra risposta alla crisi è la social economy, che rende possibile ottimizzare gli investimenti e diminuire i rischi d’impresa”. Basato sull’aggregazione e finalizzato alla sola copertura dei costi, il sistema si autosostiene senza necessità di dover ricorrere al credito bancario e prevede un modello corporativo, articolato nella spartizione delle quote di produzione.

Plaxtech propone alla singola impresa di acquistare uno share di battute-stampa della quota annuale di produzione programmata per l’impianto. L’azienda vedrà così ridotto rischio finanziario e si troverà sostanzialmente libera dalle spese di ammortamento del macchinario (che sosterà solo in base alla quota di battute-stampa acquistate), risparmiando così risorse che potrà investire direttamente in innovazione di prodotto. E se dovesse per qualche motivo “saltare un giro”, potrebbe rivendere la sua quota, interamente commercializzabile. “Siamo certi – afferma Strizzolo – che una nuova cultura di aggregazione sia, per le Pmi, la soluzione per trovare le risorse indispensabili ad innovare”.

 

FONTE: Il Sole 24 ore NordEst – Speciale Eventi | Impresa & credito

Tre casi, minimi solamente in apparenza, della nuova “green economy”. L’imprenditore comasco Saba Dell’Oca (che con la Candit Frucht è tra i principali produttori di canditi per l’industria dolciaria di mezz’Europa) ha deciso di investire con alcuni soci nella vendita in Italia di pannelli solari di tecnologia statunitense. L’imprenditore chimico alessandrino Guido Ghisolfi (che con la mini-multinazionale di famiglia M&G è il principale produttore europeo di plastica Pet per le bottiglie di acqua minerale) sta costruendo una raffineria per produrre benzina biologica partendo da vegetali non commestibili. L’imprenditore cuneese dei rifiuti Davide Aimeri è stato chiamato da una cartiera del Milanese per costruire un impianto rivoluzionario che digerirà i rifiuti dello stabilimento.

Sono tre esempi tra mille di come nasce la nuova economia, quella “green economy” propugnata negli Stati Uniti da Barack Obama per aiutare la ripresa. A differenza dello sviluppo “sostenibile”, nato a fine degli anni 80, la “green economy” non si limita a rendere le produzioni più compatibili con l’ambiente. Per l’azienda, era quasi sempre una spesa. Ora si tratta di creare business. Di generare fatturato. Di proporsi ai consumatori con nuovi prodotti.

Il fenomeno fa presa in Italia: si stima che già oggi il giro d’affari dell’economia dell’ambiente sia nell’ordine dei 10 miliardi.

Una stima più precisa non è possibile. Ci sono settori diversissimi, dalle caldaie domestiche ad altissima efficienza ai detersivi a basso impatto ambientale; alcune attività hanno una storia lunga millenni, come il riciclo dei rifiuti (la carta, nei secoli passati, era prodotta con gli stracci usati), altre sono nuovissime (il gruppo Marcegaglia investe nella ricerca di pannelli fotovoltaici che non usano il prezioso silicio).

Il Sole 24 Ore

Se il perimetro della “green economy” non è definibile nel dettaglio, si sa però che i due segmenti oggi più forti in Italia sono quelli dell’energia e del ricupero dei rifiuti. La green economy piace. La spinta a essere ecologici nasce in parte dal mercato: i consumatori sono cambiati, e nel momento di scegliere un prodotto guardano con attenzione la componente ambientale. In parte sono mutate le aziende e gli imprenditori sono più sensibili al tema dell’ecologia. E infine c’è la grande politica internazionale, la tendenza di fondo che è stata interpretata per esempio dal presidente statunitense Barack Obama. Perché le politiche dei maggiori paesi si orientano verso un’economia verde? Certamente, per il motivo “etico” di preservare la natura. «Per contenere i costi che potrebbero essere prodotti dal cambiamento del clima», osserva Carlo Corazza, a capo della rappresentanza della Commissione europea a Milano. Ma anche perché «il mercato del dopo-crisi si gioca sugli standard tecnologici di domani – afferma Corrado Clini, direttore generale del ministero dell’Ambiente e negoziatore internazionale ai grandi ecosummit – e chi rimarrà indietro sulla tecnologia verde perderà la gara al business».

Quanto vale il mercato verde? Non è calcolabile nel dettaglio. I business sono dispersi in segmenti diversissimi. Ma una stima sommaria si può azzardare: siamo nell’ordine di un fatturato sui 10 miliardi di euro. «Nel complesso il settore ambientale (rifiuti, energie rinnovabili, disinquinamento, salute e sicurezza, risorse agro-forestali) occupa circa 300mila addetti – stima Alessandro Marangoni, docente alla Bocconi e analista dell’economia ambientale – dei quali circa un terzo nella gestione rifiuti. In questo settore solo le imprese private (350 con 20mila occupati) fatturano circa 2,5 miliardi. Nelle fonti rinnovabili di energia il fatturato 2008 è stimato in circa 5,5 miliardi di euro, con un’occupazione di circa 30mila unità (solo rinnovabili “nuove”, escluso cioè le tecnologie vecchie come l’idrolettrico)». Secondo l’economista, per le rinnovabili è prevista la creazione di circa 100mila posti di lavoro in 10 anni e «il comparto delle energie rinnovabili è uno tra i più dinamici della green economy, al quale guardano sempre più investitori e mercati finanziari. Il settore è uno dei pochi in forte crescita in questa fase di crisi generalizzata: nel 2008 in Europa – conclude Marangoni – oltre la metà della nuova capacità produttiva del settore elettrico è stata generata da fonti pulite».

Quella della green economy «è una tendenza che sarà impossibile ribaltare», diceva l’altro giorno il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi. Se novanta colossi come General electric, Volvo e Air France hanno invitato i governi a fissare obiettivi per la riduzione di gas serra, «la green economy è un imperativo condiviso a tutti i livelli, un dato di fatto».

Ma che cos’è la green economy? Se fino a qualche anno fa la “sostenibilità” era per le imprese una fonte di costo, era l’obbligo di adeguarsi alle normative o un impegno volontario per diventare un’azienda migliore, oggi la “green economy” è quel segmento economico che non è più una voce di costo ma diventa un’occasione di fatturato, di arricchimento (in senso stretto ma anche in senso figurato). La “green economy” è proiettata verso l’esterno, verso il mercato.

Infatti è un fiorire di idee, progetti e investimenti. La maggior parte va verso la facile soluzione dell’energia fotovoltaica, ben incentivata. Secondo il primo rapporto sull’energia fotovoltaica realizzato dalla Camera di commercio di Milano e dal Politecnico di Milano, in Lombardia ci sono 6.024 impianti per una potenza di quasi 57 megawatt (che si stima quadruplicabile nel 2011). È la prima regione per numero di impianti (15,6% del totale) seguita da Emilia-Romagna (10,1%) e Veneto (9,3%) mentre è seconda per potenza prodotta (11,6%) dopo la Puglia (12,5%). È un business: per esempio la Candit Frucht (leader europeo nelle canditure) ha deciso di investire e di avviare la rappresentanza italiana di un produttore Usa di pannelli.

Ma non c’è solamente l’energia dal sole. Nascono società di servizi ambientali. La Sendeco ha una delle principali borse delle emissioni di anidride carbonica, e l’Ecoway negozia per conto delle aziende le quote di emissione. Nino Tronchetti Provera tramite il fondo Ambienta I ha raggiunto i 217,5 milioni di euro ed è il più grande fondo europeo specializzato in investimenti nel settore ambientale. La Sutter di Genova (d’intesa con il Wwf) e la Chanteclair lanciano i detergenti ecologici in fialetta, da allungare con l’acqua. L’Ecomen usa prodotti riciclati per ottenere sottofondi stradali di qualità e l’Intec ricicla le terre di scavo nei conglomerati di calcestruzzo, mentre un’azienda centenaria come la Boldrocchi di Biassono (Milano) è leader nella depurazione industriale dell’aria: sue le tecnologie adottate dall’Enel nella centrale elettrica a idrogeno – la prima al mondo – in completamento a Marghera.

A Torino si è appena tenuta la dodicesima edizione del Cinemambiente Environmental Film Festival. La Total ha messo nella stazione di servizio Arda Ovest di Fiorenzuola (A1) i pannelli solari e l’asfalto mangiasmog: è a impatto zero perché annulla tutto l’inquinamento prodotto dalle auto che vi passano.

Si muovono anche le amministrazioni pubbliche. L’Agenzia delle entrate ha vinto il premio CompraVerde perché ha lanciato una gara per la fornitura di energia elettrica 100% verde destinata per due anni a tutti uffici delle direzioni centrali. La Fondazione Gianni Pellicani ha stimato in 880milioni gli investimenti pubblici e privati (in parte attivati e in parte previsti) per trasformare Marghera nel polo della green economy.

Ci sono poi le fiere, come le due maggiori Ecomondo a Rimini (in programma da domani) e Solarexpo di Verona (in primavera). Ma anche – qualche nome tra mille – Zeroemission di Roma, Enersolar e Greenenergy alla Fiera di Milano (a fine novembre) o Energethica di Genova. Anche le fiere non specializzate nel tema “green” dedicano sezioni al settore ecologico: per esempio a Parma la rassegna Cibus (con la Conergy la Fiera di Parma ha avviato un impianto fotovoltaico da 1,7 megawatt) ha lo spazio CibusTec dedicato al rapporto tra agricoltura e ambiente.

Tanta attività, ma i consumatori sono pronti ad assecondare l’offerta verde? In teoria gli italiani si sentono virtuosi dell’ambiente, ma non si tocchi l’automobile. Lo afferma uno studio condotto dall’Ispo di Renato Mannheimer. «La ricerca sulla green economy – dice Carlo Iacovini, presidente di GreenValue, promotore dello studio – ha confermato quella sensazione ormai diffusa che vede l’ecologia come un valore proprio del vissuto comune».

Stando alla ricerca, il 92% degli intervistati ritiene necessario integrare economia con ambiente, soprattutto investendo nelle tecnologie. Gli scarichi industriali sono ritenuti la causa principale dell’inquinamento, seguiti dal traffico. Dentro le mura domestiche l’86% del campione intervistato afferma di usare prodotti ecologici e adottare comportamenti sostenibili, ma guai a toccare loro l’auto: basta con i limiti al traffico, dicono; meglio spendere per nuovi autobus.

Per chiudere questa prima puntata merita qualche riga l’idea di green economy forse più inconsueta. I canali di Venezia, si sa, sono costeggiati dalle briccole, cioè quei pali di legno cui vengono legate le barche. La Bizeta guidata da Fabrizio Bettiol sta realizzando briccole e pontili di plastica riciclata insieme con trucioli di legno di ricupero. Ecologia per le gondole.

 

FONTE: www.ilsole24ore.com

Da qui al 2020 della vecchia Europa, tutta industria e poco ambiente, non dovrà esserci più traccia. Bisognerà riscrivere tutte le priorità dice Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea e commissario all’Industria: «Politica industriale e politica ambientale possono sposarsi. Dalla loro sintesi dovrà nascere un sistema industriale più innovativo e meno inquinante che garantisca posti di lavoro in più». La Commissione 2 di Josè Manuel Barroso ha appena lanciato Europa 2020, la nuova agenda decennale chiamata a sostituire quella di Lisbona. Tajani ne evidenzia l’impatto per industria ed imprese.

Dopo la crisi da dove ripartirà l’Unione europea?
Ci rialziamo dopo la caduta con la necessità di contenere gli effetti sull’occupazione e per farlo è indispensabile rilanciare l’industria e l’impresa. Serve però un cambiamento culturale, uscendo dagli schemi della politica industriale degli anni 90 e dei primi anni del duemila. Per questo è giusto essere alfieri della «green economy»: per promuovere un modello di sviluppo sostenibile in cui ci sia spazio per l’auto «verde», ma anche per un vecchio sistema manifatturiero al passo con i tempi.

Con l’agenda 2020 quali novità arriveranno per le imprese?
Viene innanzitutto fissato un target più ambizioso per la ricerca e innovazione (aumentare gli investimenti dall’1,9% al 3% del Pil, Ndr) e c’è grande attenzione alle piccole e medie imprese per la quali si confermano gli obiettivi dello “small business act”, scelta fatta dalla vecchia commissione. Bisogna ad esempio semplificare il diritto societario; fare in modo che ci sia una seconda opportunità per imprenditori reduci da un fallimento che intendono riprendere l’attività; accelerare i tempi dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione; favorire l’internazionalizzazione e stimolare l’innovazione. Anche se su quest’ultimo punto è giusto che l’Europa faccia la sua parte: non si può chiedere alle imprese di crescere, innovare, diventare più competitive sempre da sole.

Che ruolo svolgerà l’Unione europea?
Per supportare chi investe devono esserci finanziamenti adeguati e un accesso al credito più facile grazie a tutta una serie di strumenti che possono essere attivati, a cominciare dalla Bei (Banca europea per gli investimenti) con la quale ho già avuto un incontro. La mia direzione generale sta lavorando ad alcune opzioni per le piccole e medie imprese in vista di un meeting che si svolgerà su questo tema a Bruxelles in primavera. Posso anzi anticiparle che già lunedì prossimo, nel corso di un incontro organizzato a Milano, si inizierà a discutere del tema anche con le principali banche italiane.

Il Sole 24 Ore

L’innovazione è al centro dell’agenda dei prossimi dieci anni. Ma su quali settori dovranno scommettere gli imprenditori europei?
I prossimi anni dovranno segnare una svolta per turismo e industria spaziale. Spesso ci si dimentica che il turismo è il terzo settore imprenditoriale europeo con grandi capacità di attrarre investimenti. C’è la fila di banchieri interessati a investire in strutture che valorizzino un patrimonio inestimabile. Abbiamo già qualche idea che ci piacerebbe promuovere: sviluppare ad esempio un turismo di tipo sociale per coprire anche periodi tradizionalmente deboli per questo settore. Potrebbero anche scattare dei contributi per incentivare gli anziani o altre fasce deboli a organizzare vacanze fuori stagione. Inoltre finora non si è mai sfruttato abbastanza il volàno dei grandi eventi: immagini quale movimento turistico si può attivare, con nuove strategie, dall’Expo 2015 o dalle Olimpiadi.

Ha citato anche l’industria spaziale…
Fino a pochi minuti prima di questa telefonata, ero all’inaugurazione dei «Galileo Application Days» organizzati a Bruxelles. Non è un evento qualsiasi, perché in ballo c’è l’avvio di un programma la cui realizzazione farà risparmiare all’Europa 90-95 miliardi. Le applicazioni satellitari toccheranno i settori più diversi, andando dal controllo dell’inquinamento ai salvataggi in mare e le opportunità di business interessano tanto le grandi industrie quanto le centinaia di piccole e medie imprese che lavorano al loro fianco.

E il nucleare?
Entriamo in un tema sul quale la Commissione, come entità politica, deve essere neutrale rispetto alle scelte dei singoli stati. Di certo l’Europa chiede un impegno reale per sviluppare una politica energetica alternativa che, attraverso le rinnovabili, garantisca meno inquinamento e costi ridotti. Se poi mi chiede un parere personale, non sono contrario al nucleare considerando anche che l’evoluzione tecnologica ne garantisce la sicurezza.

L’Italia si appresta a varare nuovi incentivi ai settori industriali, senza l’auto. È la strada giusta?
Il 2010 deve esser l’anno dell’uscita dagli aiuti di stato varati per affrontare la crisi. Gli aiuti sono stati come una tachipirina per far calare la febbre, non sono la cura per risolvere il problema. Per quanto riguarda l’auto, nel recente vertice dei ministri Ue dell’industria che si è svolto a San Sebastian, in Spagna, è emersa una linea pressoché unanime: chi non li ha conclusi sta per farlo.

Per il mercato dell’auto sarà un anno nero. Fiat chiuderà Termini Imerese a fine 2011: quale soluzione auspica?
Credo che l’auto elettrica in Sicilia sia una prospettiva interessante. È in linea con il progetto europeo di sviluppo dell’auto “verde” e potrebbe facilitare anche l’eventuale concessione di contributi europei. Sarebbe affascinante la creazione di un “cluster” a Termini Imerese: un centro italiano, con il coinvolgimento dell’università e la collaborazione di altri poli europei dello stesso settore.

 

FONTE: www.ilsole24ore.com

Green economy, il made in Italy c’è. E non è fatto solo di Fiat, con i suoi motori a basso impatto ambientale, che hapermesso al gruppo torinese di prendersi in carico la Chrysler, ricca di modelli senza limiti ai consumi. O della Landi Renzo, l’azienda di Reggio Emilia, leader mondiale degli impianti per i motori a metano e Gpl. La green economy in salsa italiana non è solo la produzione di energia da fonti rinnovabili o il recupero e riciclaggio di carta o plastica.

La green economy modello italiano è un filo conduttore che lega tutto il made in Italy, attraversa i territori, come i prodotti agroalimentari a “km zero”, tocca i settori industriali di punta. È strettamente legata al concetto di qualità. Di alta qualità.

Green economy, in sintesi, uguale stile italiano. E con risultati importanti: produzione ed export di green economy hanno senz’altro retto meglio alla grande crisi, visto che generalmente i consumatori di queste nicchie di mercato hanno disponibilità economiche maggiori e una propensione alla spesa meno legata alla congiuntura.

L’industria italiana della green economy c’è, e mondo della politica e mondo delle imprese s’interrogano (martedì prossimo a Roma, nel corso del convegno «Green Italia» organizzato da Symbola e Fondazione Farefuturo, con conclusioni di Ermete Realacci e Gianfranco Fini, presidente della Camera e di Farefuturo) su come tutelare e implementare un modello ricco di esempi virtuosi che fanno scuola, ma che stentano a fare sistema. Un mercato verde che secondo le stime di Symbola-Farefuturo realizza un fatturato di 10 miliardi l’anno, con 300mila addetti.

Il Sole 24 Ore

Le due fondazioni pensano a regole condivise dai produttori, standard di qualità, tecnologie pulite, difesa dei consumatori, con l’obiettivo di non far degenerare (e banalizzare) il tutto in appesantimenti formali e burocratici che potrebbero fermare la green economy.

Adolfo Urso, viceministro allo Sviluppo economico e segretario generale della Fondazione Farefuturo, spiega: «L’Italia ha le risorse imprenditoriali e qualitative per vincere le sfide ambientali. Dobbiamo fare in modo che la difesa ambientale diventi un’opportunità per le imprese e non una penalizzazione».

Ermete Realacci, presidente di Symbola, aggiunge: «Dobbiamo porre le basi per far entrare la politica in sintonia con quelle imprese che sono legate al territorio, puntano sulla qualità e sullo sviluppo ecosostenibile. C’è difficoltà a leggere bene queste qualità e poi, spesso, non si spinge nella giusta direzione. Dobbiamo far capire che lo sviluppo di alcuni settori innovativi e la riconversione in chiave ecosostenibile di comparti tradizionali rappresentano la frontiera avanzata del made in Italy».

Ma come si fa a sostenere l’italian green economy? «Dobbiamo proporre misure concrete – risponde Urso – in sede internazionale, in sede europea e in Italia per fare emergere queste qualità e, al tempo stesso, contrastare le importazioni di prodotti che sono realizzati in palese mancanza di regole ambientali simili alle nostre. Si tratta di una concorrenza sleale che non possiamo più tollerare». Il segretario di Farefuturo ha in mente proposte precise: dazi ambientali per chi non rispetta le regole Ue.

Con tre obiettivi precisi:
bloccare sul nascere questa forma di concorrenza sleale; scoraggiare le tentazioni di chi vuole delocalizzare per sfuggire ai vincoli ambientali; utilizzare i fondi recuperati con i dazi ambientali per favorire le esportazioni di tecnologie ambientalmente pulite nei paesi in via di sviluppo, contribuendo in modo concreto alla salvaguardia dell’ambiente globale. «In sintesi: vogliamo creare le condizioni per trasformare l’economia dell’ambiente in una grande opportunità per tutti».

Secondo Realacci è indispensabile alzare l’asticella su tutti i fronti: «Dobbiamo stabilire elevati standard di qualità, di sicurezza dei consumatori e di vincoli ambientali. È così che si batte la concorrenza di basso livello. La qualità sarà sempre più vincente rispetto a chi gioca la carta del prezzo, senza valori. Ecco perché penso a barriere virtuali e virtuose, che non potranno essere contrastate dalla Wto o da Bruxelles».

I NUMERI


Nella classica dell’eolico
È la posizione dell’Italia in Europa per potenza e generazione di energia derivata dal vento. Nella classifica mondiale il nostro paese occupa la sesta posizione.

6
Terawattora
È l’energia eolica prodotta nel 2008. Corrisponde ai consumi domestici di oltre 7 milioni di italiani.

38%
Produzione delle tecnologie per il solare
È la percentuale delle imprese italiane che coprono il mercato dell’hi-tech del settore dell’energia solare. Mentre per quanto riguarda il mercato della distribuzione e installazione, le nostre aziende coprono il 74 per cento.

55mila
Gli occupati nella meccanica
Si tratta delle stime dei lavoratori della filiera della green economy: dalla progettazione degli impianti alla produzione di energie rinnovabili, dai sistemi per il risparmio energetico alla produzione di tecnologie a basso impatto ambientale.

40%
Piccole e medie imprese
È la percentuale delle Pmi che, secondo Unioncamere, vuole puntare sulla green economy per superare la crisi con prodotti o tecnologie in grado di garantire un risparmio energetico e di minimizzare l’impatto ambientale.

335
Le aziende con marchio Fsc
È il numero delle imprese del legno che producono con materiale proveniente da foreste gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. La superficie forestale italiana nel 2008 è salita a 668.764 ettari, 55.908 ettari in più rispetto al 2007.

300
Le aziende di tessuti biologici
Sono le imprese che hanno chiesto di ottenere la certificazione internazionale.

 

Nino Ciravegna

FONTE: www.ilsole24ore.com

La green economy piace. La spinta a essere ecologici nasce in parte dal mercato: i consumatori sono cambiati, e nel momento di scegliere un prodotto guardano con attenzione la componente ambientale. In parte sono mutate le aziende e gli imprenditori sono più sensibili al tema dell’ecologia. E infine c’è la grande politica internazionale, la tendenza di fondo che è stata interpretata per esempio dal presidente statunitense Barack Obama.

Perché le politiche dei maggiori paesi si orientano verso un’economia verde? Certamente, per il motivo “etico” di preservare la natura. «Per contenere i costi che potrebbero essere prodotti dal cambiamento del clima», osserva Carlo Corazza, a capo della rappresentanza della Commissione europea a Milano. Ma anche perché «il mercato del dopo-crisi si gioca sugli standard tecnologici di domani – afferma Corrado Clini, direttore generale del ministero dell’Ambiente e negoziatore internazionale ai grandi ecosummit – e chi rimarrà indietro sulla tecnologia verde perderà la gara al business».

Quanto vale il mercato verde? Non è calcolabile nel dettaglio. I business sono dispersi in segmenti diversissimi. Ma una stima sommaria si può azzardare: siamo nell’ordine di un fatturato sui 10 miliardi di euro. «Nel complesso il settore ambientale (rifiuti, energie rinnovabili, disinquinamento, salute e sicurezza, risorse agro-forestali) occupa circa 300mila addetti – stima Alessandro Marangoni, docente alla Bocconi e analista dell’economia ambientale – dei quali circa un terzo nella gestione rifiuti. In questo settore solo le imprese private (350 con 20mila occupati) fatturano circa 2,5 miliardi. Nelle fonti rinnovabili di energia il fatturato 2008 è stimato in circa 5,5 miliardi di euro, con un’occupazione di circa 30mila unità (solo rinnovabili “nuove”, escluso cioè le tecnologie vecchie come l’idrolettrico)».

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Secondo l’economista, per le rinnovabili è prevista la creazione di circa 100mila posti di lavoro in 10 anni e «il comparto delle energie rinnovabili è uno tra i più dinamici della green economy, al quale guardano sempre più investitori e mercati finanziari. Il settore è uno dei pochi in forte crescita in questa fase di crisi generalizzata: nel 2008 in Europa – conclude Marangoni – oltre la metà della nuova capacità produttiva del settore elettrico è stata generata da fonti pulite».

Quella della green economy «è una tendenza che sarà impossibile ribaltare», diceva l’altro giorno il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi. Se novanta colossi come General electric, Volvo e Air France hanno invitato i governi a fissare obiettivi per la riduzione di gas serra, «la green economy è un imperativo condiviso a tutti i livelli, un dato di fatto». Ma che cos’è la green economy? Se fino a qualche anno fa la “sostenibilità” era per le imprese una fonte di costo, era l’obbligo di adeguarsi alle normative o un impegno volontario per diventare un’azienda migliore, oggi la “green economy” è quel segmento economico che non è più una voce di costo ma diventa un’occasione di fatturato, di arricchimento (in senso stretto ma anche in senso figurato). La “green economy” è proiettata verso l’esterno, verso il mercato.

Infatti è un fiorire di idee, progetti e investimenti. La maggior parte va verso la facile soluzione dell’energia fotovoltaica, ben incentivata. Secondo il primo rapporto sull’energia fotovoltaica realizzato dalla Camera di commercio di Milano e dal Politecnico di Milano, in Lombardia ci sono 6.024 impianti per una potenza di quasi 57 megawatt (che si stima quadruplicabile nel 2011). È la prima regione per numero di impianti (15,6% del totale) seguita da Emilia-Romagna (10,1%) e Veneto (9,3%) mentre è seconda per potenza prodotta (11,6%) dopo la Puglia (12,5%). È un business: per esempio la Candit Frucht (leader europeo nelle canditure) ha deciso di investire e di avviare la rappresentanza italiana di un produttore Usa di pannelli.

Ma non c’è solamente l’energia dal sole. Nascono società di servizi ambientali. La Sendeco ha una delle principali borse delle emissioni di anidride carbonica, e l’Ecoway negozia per conto delle aziende le quote di emissione. Nino Tronchetti Provera tramite il fondo Ambienta I ha raggiunto i 217,5 milioni di euro ed è il più grande fondo europeo specializzato in investimenti nel settore ambientale. La Sutter di Genova (d’intesa con il Wwf) e la Chanteclair lanciano i detergenti ecologici in fialetta, da allungare con l’acqua.

L’Ecomen usa prodotti riciclati per ottenere sottofondi stradali di qualità e l’Intec ricicla le terre di scavo nei conglomerati di calcestruzzo, mentre un’azienda centenaria come la Boldrocchi di Biassono (Milano) è leader nella depurazione industriale dell’aria: sue le tecnologie adottate dall’Enel nella centrale elettrica a idrogeno – la prima al mondo – in completamento a Marghera. A Torino si è appena tenuta la dodicesima edizione del Cinemambiente Environmental Film Festival. La Total ha messo nella stazione di servizio Arda Ovest di Fiorenzuola (A1) i pannelli solari e l’asfalto mangiasmog: è a impatto zero perché annulla tutto l’inquinamento prodotto dalle auto che vi passano.

Si muovono anche le amministrazioni pubbliche. L’Agenzia delle entrate ha vinto il premio CompraVerde perché ha lanciato una gara per la fornitura di energia elettrica 100% verde destinata per due anni a tutti uffici delle direzioni centrali. La Fondazione Gianni Pellicani ha stimato in 880milioni gli investimenti pubblici e privati (in parte attivati e in parte previsti) per trasformare Marghera nel polo della green economy.

Ci sono poi le fiere, come le due maggiori Ecomondo a Rimini (in programma da domani) e Solarexpo di Verona (in primavera). Ma anche – qualche nome tra mille – Zeroemission di Roma, Enersolar e Greenenergy alla Fiera di Milano (a fine novembre) o Energethica di Genova. Anche le fiere non specializzate nel tema “green” dedicano sezioni al settore ecologico: per esempio a Parma la rassegna Cibus (con la Conergy la Fiera di Parma ha avviato un impianto fotovoltaico da 1,7 megawatt) ha lo spazio CibusTec dedicato al rapporto tra agricoltura e ambiente.

Tanta attività, ma i consumatori sono pronti ad assecondare l’offerta verde? In teoria gli italiani si sentono virtuosi dell’ambiente, ma non si tocchi l’automobile. Lo afferma uno studio condotto dall’Ispo di Renato Mannheimer. «La ricerca sulla green economy – dice Carlo Iacovini, presidente di GreenValue, promotore dello studio – ha confermato quella sensazione ormai diffusa che vede l’ecologia come un valore proprio del vissuto comune». Stando alla ricerca, il 92% degli intervistati ritiene necessario integrare economia con ambiente, soprattutto investendo nelle tecnologie.

Gli scarichi industriali sono ritenuti la causa principale dell’inquinamento, seguiti dal traffico. Dentro le mura domestiche l’86% del campione intervistato afferma di usare prodotti ecologici e adottare comportamenti sostenibili, ma guai a toccare loro l’auto: basta con i limiti al traffico, dicono; meglio spendere per nuovi autobus.

Per chiudere questa prima puntata merita qualche riga l’idea di green economy forse più inconsueta. I canali di Venezia, si sa, sono costeggiati dalle briccole, cioè quei pali di legno cui vengono legate le barche. La Bizeta guidata da Fabrizio Bettiol sta realizzando briccole e pontili di plastica riciclata insieme con trucioli di legno di ricupero. Ecologia per le gondole.

 

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